
Carlos Tevez si confessa in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, dove parla non solo di Juventus e Conte, ma anche del suo grande amore per il Boca e della dura vita a Fuerte Apache, toccando anche note molto delicate della sua vita. Un’intervista che fa emergere un aspetto inedito di Tevez, che tira fuori una sua parte che non è quella del duro, del ragazzo dal carattere complicato, che tira fuori la sua profondità di ragazzo cresciuto in un posto difficile e che ha potuto trovare la via del riscatto grazie alla sua grande passione per il calcio.Parte proprio dalle origini, dal suo quartiere, quello dove è nato e cresciuto. Ma, soprattutto, l’intervista non parte di sicuro in sordina e inizia ricordando la morte del migliore amico di Tevez, Cabañas. Una morte incerta, un colpo duro, soprattutto perché aveva sempre fatto di tutto per tenere Tevez lontano dai guai: “Mi proteggevano, credevano in me, erano sicuri che sarei diventato un grande calciatore e non volevano rovinarmi il futuro. In un certo senso, ero forse il loro potenziale riscatto.Mi teneva alla larga da tutto ciò che avrebbe potuto compromettermi. Lui e altri amici scelsero una strada complicata, diversa, ma nessuno mi chiese mai di seguirli in certe situazioni“.
Vivere alla periferia di Buenos Aires è durissimo: “Lì diventi adulto subito, non puoi restare a lungo bambino. La vita è durissima, vai a letto col rumore degli spari che sale dalle strade, vedi morire amici, e mangiare tutti i giorni non è scontato. Da Fuerte Apache, insomma, o non ne esci proprio oppure ne emergi come uomo vero. Ma almeno ai miei tempi c’era una specie di codice…Voglio dire che oggi la droga ha peggiorato le cose, ha cancellato ogni forma di rispetto in generale. La droga è ovunque, purtroppo a portata di mano di chiunque”.
Tevez, tra le altre cose, perse il padre quando era ancora molto giovane, ma non ne vuole parlare: “Sì, ma non ne voglio parlare”.
Ed è proprio a Fuerte Apache che collega il ricordo del primo gol: “Avevo sei o sette anni, torneo delle periferie per bambini: il mio palazzo, il Nudo 1, arrivò in finale e io segnai il gol-partita. C’era un sacco di gente a vederci, tutta la mia famiglia, gli amici. Ricordo la gioia e l’orgoglio che ci univa in quei momenti. Sempre fatto l’attaccante, nemmeno ci provavano a mettermi lontano dalla porta avversaria”.
Non era come giocare nei nostri campetti dell’oratorio, si giocava in vere e proprie discariche, tra vetri e tetano: “Tutto vero e lì ho imparato a non mollare mai. Il calcio che gioco è quello che ho assorbito dalle strade di Fuerte Apache”.
E poi si passa al Boca, la squadra della sua vita. E’ un amore troppo grande e per questo, prima o poi, ritornerà lì, anche se ora pensa solo alla Juve: “È la mia vita, la squadra che ho sempre amato. Non dimenticherò mai il giorno dell’esordio in prima squadra, non avevo ancora 18 anni, contro il Talleres de Cordoba. Ci sono restato poco al Boca, per problemi economici fui ceduto al Corinthians, ma ho vinto ogni cosa e vissuto emozioni incredibili. Ricordo la gioia più grande, l’Intercontinentale 2003 strappata al Milan. E ancora soffro per il cartellino rosso preso nella semifinale di Libertadores 2004 contro il River Plate: avevo appena segnato l’1-1 e l’arbitro mi buttò fuori per troppa esultanza. Superammo poi il River ai rigori, ma io saltai la finale persa con l’Once Caldas. Meno male che prima di lasciare Buenos Aires portammo a casa la Copa Sudamericana, almeno me ne andai con un successo importante. Tornerò, questo è sicuro, ma per ora la mia testa è qui, alla Juve. Sto davvero bene a Torino, e torinese sarà il mio prossimo figlio, Lito junior. A proposito, voglio ringraziare tutti per l’affetto che ho sentito durante il ricovero di mia moglie a fine anno. Lei ora è con me, e io sono felice”.
Sugli obiettivi della squadra per quest’annata: “Penso a entrambe le competizioni. Le voglio. Ho vinto campionati in Argentina , Brasile e Inghilterra: l’Italia sarebbe il quarto Paese. Sogno di scrivere una pagina di grande storia per questo club. L’Europa League è l’unica competizione internazionale che mi manca a livello di club. Altro che coppa di riserva… Il campionato non è finito, nel ritorno avremo gare durissime in trasferta: Napoli, Roma, Lazio, Milan e Udinese per esempio. C’è ancora da sudare”.
Sul campionato di Serie A, sulle avversarie e i suoi avversari dice: “Il giocatore che più mi ha colpito è Callejón. Sono rimasto impressionato dalla sua crescita. La Serie A resta il campionato più duro del mondo. È l’università del calcio, la tattica qui è al massimo livello e si soffre su ogni campo. Solo la Juve ogni tanto dilaga. L’Italia mi sta completando. Se fai gol qui, segni ovunque”.
Il difensore che non vorrebbe mai affrontare: “Rispetto tutti, ma non ho paura di nessuno“.
Il più forte che ha incontrato, però, è: “Roberto Ayala, ha giocato anche in Italia ed era mio compagno ad Atene 2004, quando vincemmo l’oro olimpico“.
E l‘allenatore della sua carriera: “Carlos Bianchi, che mi ha fatto esordire nel grande calcio. E Marcelo Bielsa, con il quale ho vissuto i miei anni migliori in Nazionale. Bielsa era appunto il c.t. dell’Olimpica ad Atene. Che grande squadra quella: vincemmo tutte le partite, senza la minima difficoltà, fu quasi una passeggiata”.
Tevez esprime anche un parere sul suo attuale allenatore, Antonio Conte: “Non assomiglia a nessuno. È un fenomeno, unico, mai visto un tecnico così. È pure un po’ “loco”. È la vera forza della Juve, non ti molla un attimo, anche quando rientri negli spogliatoi ti chiede di spingere a mille chilometri orari”.
Maradona ha detto che ringrazia Dio per aver fatto nascere in Argentina Tevez e Higuain. Ecco cosa risponde Tevez: “Diego è il più grande, è di tutti, non solo dell’Argentina. Nel mio quartiere ogni bimbo sognava di diventare come Maradona“.
Sempre Maradona, però, dice anche che Tevez non va al Mondiale perché ha litigato con Grondona: “Non voglio parlare di Nazionale per ora”.
Gli si chiede se il ct Sabella lo abbia chiamato in questi mesi: “No“.
Su Messi: “E’ il più forte calciatore argentino di sempre, naturalmente insieme a Maradona, che in più ha un Mondiale vinto”.
Si allude, sul finire dell’intervista, al fatto che Messi possa essere proprio l’ostacolo tra Tevez e il Mondiale: Tevez è il giocatore del popolo, il più amato in Argentina, per questo forse una figura ingombrante per lo stesso Messi e l’allenatore. Ma ancora una volta lo juventino dice di non voler parlare di Nazionale.